Perchè lei non appartiene all’Opus Dei?

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José María de Llanos, Inchiesta giornalistica realizzata fra il 1970 e il 1974


L’intervistato, dopo aver chiarito che chi gli porge la domanda presume un po’ troppo dando per scontato che certamente lui non sarebbe stato dell’Opus Dei se lo avesse incontrato in altre circostaze, chiarisce le ragioni per cui, qui e adesso non si sente attratto da questa spiritualità.


(…) Iniziamo con le risposte nette e ben precise. Certamente, ora e adesso, non sarei dell’Opus Dei principalmente per quattro ragioni:

1° Non ho mai compreso né fatto mia la caratteristica ben conosciuta della spiritualità chiamata ignaziana, caratteristica che il padre Ángel Áyala sottolineò nei suoi scritti -i quali senza dubbio influirono molto negli inizi dell’Opus-: L’apostolato dai posti di influenza, l’apostolato dall’alto verso il basso, l’apostolato fatto imparando dall’esperienza dei “figli delle tenebre”, a titolo personale e con l’imprescindibile compromesso con certi livelli di potere dai quali sia possibile evangelizzare il mondo...

Rispetto e credo di saper riconoscere la valenza che di prudente e persino di cristiano, può avere tale posizione, ma non riesco a liberarmi dell’ombra che si delinea come “prudenza della carne”, prudenza che non assomiglia a quella di Cristo che procedette in altra maniera nella sua predicazione del Regno. Egli si compromise piuttosto con gli uomini di basso livello, e per questo lo accusarono e rifiutarono gli uomini di alto livello, e non utilizzò influenze né tattiche di tipo umano, ma semplicemente i segni e le opere del Padre suo che finivano proprio per opporsi al mondo. Paolo seguì un atteggiamento simile con quella che lui denominò la stoltezza del Vangelo, lavorò con le sue mani e apparve come uno stolto agli occhi dei sapienti.

So bene che tutto ciò deve essere proiettato con una esegesi aggiornata su una società ben diversa da quella, ma comunque non posso, dalla mia semplicità evangelica, adattarmi alla linea che sarà poi chiamata costantiniana, secondo la quale è necessario approfittare del potere o dei poteri di questo mondo per fare l’Opera di Dio, che si realizza proprio sulla debolezza umana e grazie alla forza dell Spirito. Quella che oggi si chiama efficacia non può, pertanto, caratterizzare, secondo me, l’azione apostolica (il marxista crede anche lui ciecamente nella necessità di anteporre a tutto il principio dell’efficacia).

Credo nella semina non solo silenziosa e testimoniale, ma partendo dal popolo e senza appoggiarsi alle industrie e ai poteri di questo mondo.

Per tutte queste ragioni non sono in sintonia con lo stile evangelizzatore dell’Opera. Non credo che io potrei scegliere il suo carisma, così diverso da quello che così inefficamente tento di vivere.


2° Meno importante (le ragioni precedenti sarebbero sufficienti per mantenere e spiegare il mio “no”, dato che si tratta di un criterio che giudico evangelico) meno importante mi sembra quello che per altri ricopre invece una grande importanza, e cioè quell’alone di mistero e di segretezza che circonda l’Opera tutta e i suoi membri. Tutto ciò mi ricorda gli inizi della Compagnia così denigrata nel secolo XVI proprio per qualcosa di simile, e soprattutto tutto ciò mi fa pensare per contrasto ad un valore che io stimo molto: quello della semina silenziosa e semplice del Regno di Dio. (In fondo, bisogna riconoscere che, a modo suo, l’Opus anticipò quello che oggi si comprende e che tanto si apprezza: la secolarizzazione). E tuttavia, ci sono silenzi e silenzi: silenzi propri della semplicità e della natura umana, e silenzi che sanno di mistero. I primi li sento miei; i secondi, forse per il mio modo di essere spontaneo e per niente inclinato ai segreti, no. Credo nella trasparenza dell’uomo evangelico, senza reticenze né riserve, che procede illuminato dal suo occhio aperto e donato agli altri fiduciosamente. E non credo nel mistero che, come forma di essere, rese celebre la massoneria e tante altre “mafie”, per me veramente sgradevoli anche solo per questa caratteristica. Il celebre e classico “sigillum” delle origini cristiane credo che non abbia più senso ai nostri tempi e in una società ormai di ritorno dal cristianesimo e nella quale le catacombe sono fuori posto, come pure le persecuzioni.

Misteri, quindi, no; ci bastano quelli strutturati in dogmi che ci impone la fede. Credo, inoltre, che il mistero dia origine alla setta e all’aristocrazia, e che porti pertanto più alla segregazione che all’integrazione. E invece quello che è più urgente oggi per il nostro cristianesimo in crisi è l’integrazione sincera, come quella del lievito nella massa, una integrazione silenziosa che non dia origine a casta né ad aristocrazia alcuna. La chiesa, credo, ha necessità oggi sia del silenzio come anche della trasparenza e dell’apertura.


3° In terzo luogo, come argomento che mi porterebbe a scegliere il “no”, segnalo quello tanto conosciuto e criticato della “pesca”. Anche questo molto gesuitico –io ho peccato in questo senso e per questo mi considero capace di criticarlo- ma poco evangelico: Gesù ci parlò del compito del pescatore di uomini, anche di quello del pastore delle pecore. Immagini, queste, che non possono né debbono condurci verso una strategia o tattica di pesca o di caccia che sembra non potersi conciliare col rispetto e la libertà dei figli di Dio. Neppure con l’azione dello Spirito Santo, che soffia dove e quando vuole.

Credo che non sia calunnioso –ricordo aneddoti accaduti attorno a me- riconoscere che lo zelo di parecchi membri dell’Opera li abbia portati ad una letteralità in questo di sentirsi pescatori di uomini, una letteralità che è arrivata a rendere antipatica l’Opera per quel suo modo di coartare e di fare pressione esigendo allo stesso tempo il segreto. Oggi nella Chiesa, tutto quello che non procede dal riconoscimento e dal rispetto di tale libertà nell’ultimo degli uomini di fede, è ormai malvisto.

Giudico che la celebre pastorale delle vocazioni –perfino questa- oggi si limiti a pregare il Padre perché invii operai alla sua messe e a dare la testimonianza di una donazione agli uomini doppiamente sacrificata perché illuminata dalle esigenze della fede in Cristo. Tutto il resto è ormai tattica e prudenza umana; in questo caso, e di questi tempi, inopportune.


4° E, infine, il mio “no” sarebbe conseguenza anche di qualcosa che è certamente marginale ma che a me ha sempre molto fatto pensare. Ogni giorno di più apprezziamo cosa sia e quanto valga la parola di Dio rivelata e rivelatrice. Ogni giorno, e non solo nel servizio liturgico, ma anche nella vita ordinaria dei fedeli che mettiamo in contatto diretto con il Libro. Allora, qualsiasi altro libro che, per quanto fedele possa essere al Libro, venga come a sostituirlo dando origine ad una spiritualità precisa e perfino a un certo culto pubblicitario, ci sembra che inconsciamente attenti contro il primato della Parola di Dio, poiché finisce per “coprirla” a forza di spiegarla ed applicarla.

“Cammino” è un libro fra altri e di un certo valore che non voglio discutere; il culto a Cammino, il suo “successo” confesso che mi ha messo in guardia e mi conduce di nuovo a dire, semplicemente e dicretamente, “no”.


S.J. Pozo del Tío Raimundo. Madrid